Articoli di Giovanni Papini

1909


La nostra sorella morte

Pubblicato in:
L'Illustrazione italiana, anno XXXVI, fasc. 7, p. 160
Data:
14 febbraio 1909


pag.160




   Ora che la rovina siciliana e calabrese sta passando dal telegramma alla storia e dalla pellicola cinematografica alla scienza, sarà permesso, in una sosta della pietà e della curiosità, filosofare per pochi momenti. Ai tempi andati, quando qualche sventura grossa decimava e impauriva gli uomini, i predicatori agguantavano l'occasione per rammentare a tutti, in piazza e in chiesa, quelle verità dolorose e quei pensieri terribili che tutti noi cerchiamo vigliaccamente di scordare. Oggi i predicatori celebri son pochi e quei pochi ascoltati più come virtuosi d'eloquenza che come risvegliatori di coscienze, e predica vuoi dire, nella lingua volgare, discorso noioso da lasciarsi ai frati ed ai babbi avari. Oggi si vuole da tutti la vita facile e le chiacchiere scettiche e non si vedon da nessuna parte gli eredi di quei grandi predicatori che seppero, in tempi meno leggiadri, appacificare lupi, rivoltare città, far tremar papi e impensierire imperatori.
   Eppure ci vorrebbero anche oggi e con la voce più forte d'allora, tanto fatta sorda la gente in questo schiamazzo metallico cittadino.
   Quante gravi cose si potrebbero dire oggi dopo l'ultima sventura italiana! Essa ci ha rimesso di faccia, con uno spaventevole richiamo, all'eterno tema della Morte — al vero tema eterno religioso che ogni giorno ripete i suoi cupi motivi e i suoi sanguinosi sviluppi. Tutti noi vogliamo vivere, vivere a tutti i costi e viver di più e viver bene, e non badiamo più che tanto ai morti cari o sconosciuti che ogni poco lasciamo per la via e sotterriamo sotto poca terra con poche parole, e non pensiamo abbastanza spesso che ognuno di noi sarà, nel suo giorno, uno di questi poveri cadaveri puzzolenti che i becchini annoiati depongono tanto spesso nei decenti carnai lastricati di marmo e di bugie. Ed ecco allora che la Morte, per rompere la nostra indifferenza, per toglierci dalla nostra cecità quotidiana dinanzi al dolore nascosto e alla morte isolata, s'è offerta un banchetto umano, un immondo festino di migliaia di anime. Un pezzettino di terra s'è scosso per un momentino e duecentomila uomini son caduti dall'effimero buio della notte nel buio infinito della morte.
   E allora la gente s'è commossa. Allora le donne hanno pianto, gli uomini sono accorsi, le borse sono state svuotate, i Re si son inteneriti, i popoli lontani son rimasti esterrefatti e i giornalisti hanno fatto un po' di letteratura.
   Ma perchè? Perchè la Morte, sempre presente a tutti, in ogni luogo, s'è levata ad un tratto gigante e nello stesso punto ha falciato come una pazza mietitrice che non vuole più aspettare.
   Perchè, badate bene, tutta questa improvvisa pietà per i messinesi e i reggini non dovuta che ad un'illusione ottica. Un terremoto non è che un episodio - piccolo acceleramento passeggero sopra un palmo di terra. Voi sapete bene che ad ogni battito del vostro orologio si può dire che una vita si spenge, in qualohe parte del mondo.... Fate i vostri conti e vedrete che ogni giorno la terra sente il peso di 86400 cadaveri. In un mese vanno sotto il fango terrestre 2592000 corpi di uomini o donne o bambini. Altro che battaglie e terremoti! E perchè la gente non si commuove dinanzi a queste stragi quotidiane? Perchè non troviamo ogni mattina nel nostro giornale un articolo di compianto per questi morti innumerevoli e una sottoscrizione aperta per le vedove e per gli orfani?
   Gli è che ciascuna di queste 86400 vittime dell'infaticabile Morte si spenge per proprio conto, chi qua e chi là' e di ognuna di esse solo pochi, rispetto alla moltitudine del mondo, sanno la fine. Invece a Messina tutti i morti li abbiamo visti insieme, tutti riuniti nello stesso punto; e così raccolti e ammucchiati ci hanno fatta paura e pietà. Non dicevo dunque la verità? Quel che colpisce la tarda immaginazione degli uomini in queste tragedie è l'unità dì luogo — non altro. Chi muore accanto alle migliaia è compianto dai milioni — chi muore solo è compianto dalle diecine. Ma la Morte non è aristotelina e non conosce unità di luogo. Cigni giorno, ogni notte, egli vuole il suo enorme tributo di carogne e gli uomini le passano accanto sorridendo e non la vedono, o la negano o la sfidano o la chiamano. Oh campane a morto di tutto il mondo, suonate, squillate, rombate, echeggiate tutte insieme e forse allora tutti gli uomini sentiranno una romba più grossa di quella del terremoto e si sentiranno serrare il cuore pensando al modo in cui sciupano questa breve vigilia della fine!
   Perchè non è vero che la morte sia o abbia da essere uno spauracchio qualunque da sprezzare o sfuggire. Chi ama la vita, in qualunque modo la intenda, deve pensare alla Morte. Il valore educativo del pensiero dell'inevitabile fine non è una trovata dei confessori — è una verità morale che la ragione annunzia e l'esperienza conferma.
   Siete di quel pochi veramente felici che volete vivere una vita grande, una vita da eroi puri e creatori di cose belle e giuste? E allora saprete che il pensiero della morte si fa sembrar piccole e miserabili, come sono, tante disavventure e tanti dispetti della fortuna e degli uomini che in quasi tutti occupano la mente e fiaccano il carattere per mesi e per anni; saprete che il sentimento della brevità della. vita v'è di pungolo al lavoro, di frusta per l'accidia, di consolazione nelle melanconiche dell'abbandono e dello scoraggiamento: saprete che la previsione del disfacimento del corpo muove di continuo l'anima a dire e ad operar di quelle cose per cui l'uom s'eterna e sfugge in qualche modo alla condanna che ogni uomo porta scritta in fronte nascendo.
   E sia pure che voi vogliate godere in pace le gioie sensuali che la nostra vita può offrire a chi non ha la malattia del dubbio o la nostalgia del sublime. Siate pure un elegante epicureo che veda la vita come un giardino estivo e non come una montagna prunosa, che ha la vetta alta e dietro la vetta il precipizio. Non sarà forse la morte che darà più sapore ai nostri poveri piaceri? Non avete forse bisogno di sapere e di ricordare che l'oggi può essere per voi l'ultimo oggi per baciare con più voluttà le vostre donne, per bere in più abbondanza i vostri vini, per succiare con più' gusto i vostri frutti, per odorare con più abbandono i vostri fiori? L'ombra della morte raddoppia il piacere e incoraggia il goditore. Vi ricordate?

“Chi vuol esser lieto sia
Di domenica non c'è certezza!

   Epperò, pur piangendo sui morti, pur soccorrendo gli abbandonati, noi non dobbiamo dimenticare che le grandi stragi, insieme ai tanti mali, hanno questo di buono: che ricordano alle nostre menti attutite dall'abitudine l'enorme verità della Morte. Le carestie, le battaglie, le pesti, le rovine delle città sono le educatrici di questi bambini che dimenticano troppo. San Francesco chiamò sorella la nostra “morte corporale„, e giustamente. Sia pur la vita la nostra pazza amante ma la Morte è e sarà sempre la nostra buona e silenziosa sorella.


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